Gatti, ancora bufale su Ustica

di | 12 Agosto 2011

“Il 27 giugno 1980, alle ore 21 esatte, i radar di Fiumicino cessavano bruscamente di registrare le battute dell’Itavia 870, un Dc-9 in volo tra Bologna e Palermo con a bordo 81 persone. L’aereo sembrava scomparso, ma dopo alcune ore spese in frenetiche quanto disordinate ricerche, si raggiungeva la certezza che era caduto in mare a nord di Ustica. Non c’erano superstiti”. da “Il quinto scenario, i missili su Ustica” di Claudio Gatti (nella foto) e Gail Hammer (Rizzoli, 1994). Oggi sono 31 anni da quel 27 giugno. Anni di misteri, di appelli e di ricordi, di ricostruzioni e di speranze. Anni che di celebrazioni ne hanno viste ormai trentuno, ogni volta simili a se stesse ed ogni volta sempre più differenti. Dalla tragedia di Ustica, da quel Dc-9 che da Bologna avrebbe dovuto sbarcare a Palermo, partito con qualche ora di ritardo – maledetta fatalità – il tempo lo segna la tragedia di un segreto di Stato rimasto inalterato. Segnale di una ragione istituzionale che travalica i confini italiani e che sconfina, questo sì chiaramente, ben oltre quel braccio di mare al largo dell’isola di Ustica dove furono trovati a galleggiare pezzi di relitti e pezzi di umanità dispersa. Ottantuno vite sacrificate sull’altare di interessi mondiali che nessuno è riuscito ad identificare. A cristallizzare in una verità giudiziaria che desse respiro e fiato ai superstiti. Un muro di gomma, ebbe modo di ribattezzarlo Marco Risi nel film che celebrava la battaglia di un giornalista per scoprire la verità di Ustica. Era il 1991. E il film alimentò il clima da segreto di Stato che su quella tragedia si è costruito per trentuno lunghi anni. Irrisolto. Non sciolto. Segreto, appunto. Ricostruzioni che nel corso di questi lunghissimi anni hanno trovato spazio anche su libri, inchieste giornalistiche, oltre che giudiziarie. Claudio Gatti, ad esempio, giornalista de Il Sole 24 Ore, che scrive e soprattutto opera con stile americano, da New York, avvezzo all’inchiesta con un approccio tutt’altro che italiano – cercando una verità sostenibile e non ad effetto, facendo con ciò autocritica professionale – nel 1994 firma con la collega Gail Hammer, il libro edito da Rizzoli, “Il Quinto Scenario”. Qui ipotizza una inedita – per il periodo – pista che spiegasse l’abbattimento “casuale” dell’aereo di linea italiano: “Fui mobilitato dall’Europeo – racconta oggi da New York, Claudio Gatti – e cominciai a seguire la storia. Cominciai a spuntare ogni singola pista e lavorai a questa quinta possibilità”. Ovvero dell’abbattimento del Dc-9 Itavia finito nella rotta di un caccia israeliano che avrebbe scambiato il velivolo italiano per un aereo francese carico di uranio per il dittatore iracheno Saddam Hussein. “Ancora oggi, ritengo questa teoria la più credibile. Su cui si concentrano senza dubbio le prove indiziarie più sostenute – conferma Gatti – Solo una potenza come quella israealiana e un’organizzazione così avvezza al segreto e alla riservatezza poteva garantirsi il lusso di mantenere un segreto come quello della tragedia di Ustica che permane incorrotto da 31 anni. Nessuna altra realtà occidentale, Italia, Francia o Usa – come si è cercato di indicare negli anni le responsabilità fra queste nazioni – poteva permettersi con il coinvolgimento delle tante persone che hanno conosciuto la vera storia del Dc-9 abbattuto a Ustica, un silenzio così compatto. Una riservatezza così controllata”. Qualcuno in tanti anni, in punto di morte, per dar fiato ad una coscienza azzittita per anni, sostiene in soldoni Gatti, avrebbe raccontato la verità, consegnato ad un memoriale il disvelamento degli scomodi segreti di Ustica.Non in Israele. Dove tra l’altro – storicamente – c’era tutto l’interesse a “sferrare” un attacco alla Francia “collaborazionista” col regime iracheno. Saddam Hussein infatti era in possesso di armi di distruzione di massa e della bomba. La bomba nucleare che gli isreaeliani temevano fosse diretta ai loro territori. Una questione di sopravvivenza in vita di uno Stato. Una ragione che spinse il Mossad, a bombardare l’Iraq senza alcun preventivo avvertimento agli Stati Uniti d’America e al presidente Ronald Reagan. Mettendo a rischio, proprio nel 1981, una pace mondiale raffazzonata con difficoltà. E ancora incredibilmente labile. Come ebbe modo di dimostrare ancora la prima e la seconda guerra del Golfo, a partire dagli anni ’90. Claudio Gatti è testimone attento, scrupoloso di questa quinta ipotesi. “Le mie sono teorie indiziarie. Nessuna prova chiaramente, ma un quadro credibile in cui i protagonisti – lo dico ancora oggi a tanta distanza – sono tutti riconoscibili”. Sugli esiti di questa rinvigorita attenzione nei confronti delle verità nascoste di Ustica, Gatti non mostra ottimismo: “Dovrebbero dimostrare dopo tanti anni che le teorie su cui tutti i tecnici si sono concentrati dimostrandone la veridicità, ovvero che si sia trattato di un attacco esterno e non di una bomba, erano tutte sbagliate”, dice il giornalista de il Sole 24 Ore. “E non è credibile che ci vengano a raccontare che l’attacco esterno sia una bufala. La verità però non si saprà mai”. Gli appelli alla verità o alla chiarezza anche al presidente francese Sarkozy – riportati oggi da Repubblica in una lettera della figlia di due vittime del Dc-9 Itavia – sono un sasso nello stagno. Sono il tentativo fallimentare di piegare la storia ad una sintesi che solo i responsabili potrebbero ammettere. Ma non l’hanno fatto per 31 anni. Oggi sono 31 anni.

di Elena Di Dio – Il Sud [link originale]