Italia spiata dagli Usa, il precedente di Ustica / Lettera43

di | 1 Marzo 2016

Giuliano AmatoIl precedente non è di poco conto. Era il 1992 e ogni giorno sui quotidiani si parlava della strage di Ustica (27 giugno 1980, 81 morti). L’inchiesta condotta dal giudice Rosario Priore sulla sciagura aerea del Dc9 Itavia era entrata nel vivo e aveva già sfiorato più volte gli americani. L’ambasciata di via Veneto osservò e riferì costantemente a Washington. E con ogni probabilità, stando a quanto si scoprì 11 anni dopo grazie al Freedom of information act, ascoltò i telefoni di alcuni alti esponenti del governo italiano.
Uno scenario molto simile a ciò che è emerso sull’attività di sorveglianza compiuta dalla Nsa (National Security Agency) nei confronti di Silvio Berlusconi prima della caduta del suo esecutivo nel novembre 2011.
Nel 1992 a capo del governo c’era il socialista Giuliano Amato. E quella che appare come una conversazione spiata e trascritta dagli americani riguarda proprio il caso Ustica. Dall’altro capo del telefono c’era l’allora ministro della Difesa, Salvo Andò, che in quelle ore dichiarò alla stampa che su Ustica aveva intenzione di mettere a disposizione della magistratura «armadi, cassetti e fascicoli».
Una posizione che evidentemente preoccupò molto gli americani, già allora fermi nel ripetere che quella notte nessun caccia a stelle e strisce era in volo nella zona del disastro del Dc9 e che nessun missile mancava all’appello.
Nel telex di due pagine, datato novembre ’92 e scambiato tra l’ambasciata Usa di Roma, il dipartimento di Stato e quello della Giustizia, del colloquio tra Amato e Andò c’è ben poco: è quasi tutto coperto da un lungo omissis, si salva solo un passaggio preliminare: «Amato agrees to call Andò», e cioè «Amato accetta di chiamare Andò».
Del resto gli americani nel ’92 avevano più di un motivo per essere nervosi. Il giudice Priore era molto attivo e continuava a proporre rogatorie (tra il ’91 e il ’96 ne inoltrò una sessantina verso gli Stati Uniti), volò a Washington per tentare di interrogare il capo stazione della Cia, Duane Clarridge, a Roma nei giorni della strage, e il comandante della portaerei Uss Saratoga, James H. Flatley, in quelle ore ancorata nella rada del porto di Napoli.
Andò fu molto attivo su questo fronte e non perse occasione per puntare il dito contro gli americani, come si evince anche da una sua dichiarazione che precedette di alcune settimane il telex dell’ambasciata Usa.
«Ritengo che il governo statunitense», riferì l’Ansa citando in un dispaccio del 25 ottobre ’92 l’allora ministro della Difesa, «abbia qualcosa da dire e dare agli inquirenti in merito alla vicenda di Ustica».
In quei mesi Washington dedicò molta attenzione all’affaire Ustica stando al massiccio numero di telex scambiati con la sua sede diplomatica di Roma, di cui nel 2003 venne in possesso il giornalista del Tg3 Roberto Scardova. I tormenti del dipartimento di Stato si ripeterono in decine di cablo, molti dei quali riguardavano il governo Amato e le intenzioni di Andò.
A preoccupare gli analisti di via Veneto era anche la scelta del governo italiano di costituirsi parte civile nell’inchiesta condotta dal giudice Priore, ufficializzata dallo stesso Andò il 30 dicembre 1992. Lo si deduce, in particolare, da un telex che dà conto di un incontro tra l’ex ambasciatore Peter F. Secchia e Bettino Craxi, chiamato a intervenire sull’esecutivo guidato da Amato per togliere gli americani dall’imbarazzo.
(Fabrizio Colarieti / lettera43.it)