Anniversario della Strage di Ustica

di | 26 Giugno 2010

La partita più segreta e complessa che sia mai stata giocata per arrivare alla verità sulla strage di Ustica. L’ultima partita possibile di un’inchiesta lunga trent’anni. La posta in gioco è l’identità di almeno uno dei sei o sette caccia non identificati che la sera del 27 giugno 1980 volavano nello spazio aereo in cui esplose il DC9 Itavia con 81 cittadini italiani a bordo. Anche il tavolo è l’ultimo possibile. Quello della Nato. Per potercisi sedere alla pari, la Procura di Roma ha potuto giocare una carta pesante e forse decisiva. Quella del Quirinale. Che da un anno si consuma in un lavoro silenzioso ma efficacissimo, alla ricerca di un percorso diplomatico e giuridico per consentire all’Alleanza di esprimersi su una questione che alla fine, se ci sarà una fine, potrebbe anche portare uno dei suoi membri sul banco degli imputati. Non è un caso che un mese fa il presidente Giorgio Napolitano, uomo che pesa le virgole, abbia parlato di «intrighi internazionali che non possiamo oggi non richiamare, insieme con opacità di comportamenti da parte di corpi dello Stato, a inefficienze di apparati e di interventi deputati all’accertamento della verità». Chi vuole intendere, intenda. La partita è in corso e più avanti di quanto non si possa immaginare. In realtà, gli esperti dell’Alleanza atlantica avevano già delineato per il giudice Rosario Priore uno scenario di guerra, confermato più volte (anche ai magistrati) dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Questo. Uno o due caccia, quasi certamente libici, decollano da una base della ex Jugoslavia e si infilano nel cono radar del DC9 poco dopo il decollo da Bologna. Lo fanno ormai da mesi, perché Tripoli ci ricatta tenendo al cappio più di ventimila lavoratori italiani in Libia, perché Gheddafi possiede il 13 per cento di azioni della Fiat e soprattutto ci fornisce il 40 per cento del petrolio di cui abbiamo bisogno. Infatti, di fronte ai Mig noi chiudiamo tutti e due gli occhi. Anche se da Parigi e Washington ci hanno fatto sapere che il prossimo lo butteranno giù. È il 1980, e Gheddafi è il Saddam Hussein del momento. Il nemico numero uno di Jimmy Carter e Giscard d’Estaing. Dunque, il DC9 è in volo verso Palermo con una coda di due caccia libici. Sull’Appennino, li incrocia un F104S biposto dello stormo di Grosseto, a bordo del quale ci sono i capitani istruttori Ivo Nutarelli e Mario Naldini (che moriranno il 28 agosto 1988 durante un’esibizione delle Frecce tricolori a Ramstein). Quando il caccia italiano rientra, prima di atterrare lancia l’allarme nei due modi previsti dal codice di emergenza della Nato (volo a triangolo ripetuto sulla base e uso del microfono di bordo «squoccando» tre volte col pulsante senza parlare). Intanto il DC9 arriva sul Tirreno e si immette nell’aerovia che porta verso la Sicilia. Ma ormai i due caccia «nemici» sono stati inquadrati da un aereo radar del tipo Awacs, probabilmente in forza all’aeronautica francese. E francesi dovrebbero essere anche i caccia che decollano dalla base di Solenzara in Corsica o da una portaerei e, guidati dall’Awacs, vanno a colpire i caccia che volano sotto al DC9, centrando per sbaglio l’aereo civile. Tutto questo più o meno sulla verticale della Sesta Flotta, come a dire che gli americani non possono non aver visto né saputo. Il resto, dopo trent’anni, è storia. Se la Nato risponderà ai quesiti della Procura della Repubblica di Roma mettendo una bandierina su almeno uno dei caccia che erano accanto al DC9 (volavano tutti col transponder spento, per non consentire ai radar a terra di poterli identificare, procedura che si usa solo in azione di guerra), uno dei quattro Paesi coinvolti direttamente o indirettamente – Italia, Francia, Stati Uniti, Libia – dovrà dare qualche spiegazione alle bugie raccontate. E la strage diventerà comunque una questione di rapporti internazionali, più di quanto non lo sia stata fino adesso. La Francia è al primo posto nella lista degli indiziati. Ma, nel caso, Sarkozy avrà il coraggio di ammettere le responsabilità dei suoi predecessori all’Eliseo? E Gheddafi, che ormai cena dal Bolognese a Piazza del Popolo, racconterà ancora la storia della vittima designata?

di Andrea Purgatori – Vanity Fair del 26 giugno 2010 [link originale]