Da Lockerbie a Ustica: i misteri sepolti col Raìs

di | 22 Ottobre 2011

WASHINGTON – Quando Brian Flynn ha visto le immagini di Gheddafi in mano ai ribelli ha detto: «Mi spiace che non possano ucciderlo due volte». Una reazione a caldo, pensando al fratello J.P. morto sul jumbo Pan Am esploso a Lockerbie, Scozia, nel 1998. Un attentato attribuito ai servizi libici. Ventiquattrore dopo Brian Flynn ha corretto il suo giudizio. Non sono completamente felice – ha detto – perché con la fine del Colonnello scompare una «montagna di segreti». E ha ragione. Se preso vivo il Raìs avrebbe potuto raccontare molto su una serie impressionante di attacchi. Lockerbie – 270 vittime – è il più importante. Il principale accusato, l’agente Al Megrahi, è stato rimandato dagli scozzesi in Libia perché «in fin di vita» e in cambio della promessa di contratti petroliferi. Ma ai familiari delle vittime lo 007 interessa fino a un certo punto. Due le domande che continuano ad angosciarli: chi ha dato l’ordine di piazzare la bomba? E oltre ai libici erano coinvolti altri attori? Il primo interrogativo chiama in causa lo stesso Gheddafi e il suo uomo della sicurezza, Abdallah Al Senussi, oggi rifugiato in Niger. Il secondo allunga sospetti sugli iraniani e un gruppo radicale pro-siriano. Da Londra, invece, speravano e – sperano – di capire dove sia finito Abdulmagif Ameri, un diplomatico responsabile della morte di una poliziotta britannica, Yvonne Fletcher, presa a fucilate dalla finestra dell’ambasciata libica. Ancora: Gheddafi avrebbe potuto dare informazioni sul sostegno garantito ai terroristi dell’Ira nord irlandese. In particolare sulle tonnellate di esplosivo al plastico ancora nascoste da qualche parte nell’Ulster e affidato agli «armieri» del gruppo.
Un reticolo di trame che non ha risparmiato neppure l’Italia. Come non pensare alla strage di Ustica con il Dc 9 Itavia distrutto dopo una battaglia aerea (era il 1980, 81 le vittime). Si è sempre sospettato che il vero obiettivo fosse il jet del Colonnello. Lui sicuramente sapeva molto, anche se la sua parola sarebbe stata accolta con sospetto. Diciamo che non era un teste affidabile. Ma forse, se catturato, avrebbe potuto aiutare a ristabilire una parte di verità. Così come era in grado di mettere la parola fine al giallo dell’imam Mussa Sadr, guida spirituale degli sciiti svanito dopo un viaggio in Libia nel 1978. I suoi seguaci hanno conservato in questi anni la speranza che fosse ancora in vita. Un ex giudice militare ha invece affermato, alla metà di settembre, che il religioso è stato assassinato dopo una furiosa lite con il Raìs. Il suo corpo è stato sepolto prima a Sirte, quindi a Sebha. Brutta fine anche per il giornalista che lo accompagnava. Poi il regime ha fatto partire alla volta di Roma un sosia dell’imam. Una brutta vicenda per la quale l’Italia è stata considerata – a torto o a ragione – complice del piano. L’inchiesta è comunque ancora aperta.
Dall’imam al «Serpente». Dal 1983 all’85 Roma è teatro di attentati devastanti del gruppo di Abu Nidal. I fedayn colpiscono diplomatici, l’aeroporto, il celebre Café de Paris. A coordinare gran parte degli attacchi è un professionista del terrore, Samir Kadr o Kadar, detto «il Serpente». Ex elettricista, diventato «ufficiale» di Abu Nidal, si trasferisce nella capitale italiana che diventa la sua base operativa. Ha un ufficio vicino a via Veneto e gestisce una società di copertura. Furbo, spietato, fa credere di essere morto in un attacco ma il trucco non funziona e le polizie europee lo cercano ovunque. Dopo la strage di Fiumicino (1985) si rifugia in Svezia con la moglie finlandese conosciuta proprio al Café de Paris. Dalla Scandinavia organizza il dirottamento di un jet americano a Karachi, azione che si conclude con un massacro. Il «Serpente», però, striscia via usando un’altra società – la Al Alamia – come paravento. Vende scarpe e auto, intanto aiuta il suo gruppo. E viaggia moltissimo. L’intelligence lo segnala in Bolivia, quindi in Sudan, infine a Tripoli. È lì l’ultimo indirizzo – si fa per dire – conosciuto. Un criminale protagonista di una campagna di sangue finanziata dai dollari del Colonnello.

Guido Olimpio – Corriere della Sera del 22 ottobre 2011 [link originale]

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4 pensieri su “Da Lockerbie a Ustica: i misteri sepolti col Raìs

  1. Fox2

    Per quanto riguarda Ustica, abbiamo ancora delle possibilità.

    Bisogna insistere sulla strada intrapresa dagli avvocati delle Famiglie delle Vittime Daniele Osnato e Alfredo Galasso nella richiesta dei dati ufficiali relativi alla missione del Mig23 Libico, caduto sulla Sila, adesso ancor di più con il Governo Provvisorio Libico, meno interessato certamente di Gheddafi a coprire gli intrallazzi stessi del Colonnello.

    Se venisse fuori ufficialmente, come ormai sembra molto probabile, che il MiG 23 ha volato il 27 Giugno 1980, e non il 18 Luglio, come la versione “ufficiale” vorrebbe accreditare, e che la sua rotta di missione fu, come appare dalle indagini, la rotta che dalla Jugoslavia porta a Tripoli passando per l’Italia Centrale, ed esattamente Firenze, Ambra 14, Ponza, Ambra 13, Punto Condor, Palermo, Malta, questo minerebbe alla base il “muro di gomma”, che a questo punto crollerebbe come un castello di carte, trascinando con se anche coloro “Chementonoimpunementesapendodimentire”.

    Due informazioni sarebbero sufficienti: La data del volo e la sua rotta, proprio quelle che inspiegabilmente “mancarono” dalle registrazioni della Scatola Nera del Mig 23 esaminate dagli Inquirenti.

    Come disse Spadolini: “Trovate cosa successe al Mig 23 della Sila e avrete risolto il Mistero della Tragedia di Ustica”

    Fox2 – “Noi Ricordiamo”.

    1. giuseppe saraceno

      Il diavolo è nei dettagli.
      Rileggiti bene la sentenza-ordinaza di Priore in particolare il capitolo relativo al Mig23.
      SG

    2. Max

      Con molta amarezza penso che forse ora non interessi più a nessuno dei paesi che si affacciano al mediterrano far emergere ufficialmente la verità o fornire appigli per evidenziarla, nemmeno al CNT perché metterebbe in imbarazzo i paesi che hanno appoggiato la rivolta paesi che oggi sono considerati amici. Ma non è comunque una ragione per rinunciare a chiedere giustizia.

  2. Fox2

    Raccogliendo l’invito, approfitto dell’occasione per sottoporre all’attenzione dei lettori le Conclusioni dell’Istruttoria relativa.
    Credo che le troveranno significative ed illuminanti.
    E’ inutile sottolineare che sono supportate dalle corrispondenti indagini, dettagliatamente descritte in precedenza…

    —– ° ——

    “Procedimento Penale Nr. 527/84 A G.I., Pagg. 4511-12-13
    Capo 2 MiG.
    Conclusioni.

    In conclusione si deve dire che più sono gli elementi di prova che quel MiG23 cadde in tempo ed occasione diversi da quelli prospettati nella versione ufficiale.
    Che questa versione fu generata da una obbiettiva coincidenza d’interessi di tutte le parti, soggetti attivi e passivi, dell’operazione, spettatori e manovratori.
    Tutti, chi per un verso chi per l’altro, avevano interesse a coprire la realtà dei fatti.
    Fu da noi accettata per considerazioni puramente politiche e non d’altro genere.
    Non è affatto sostenibile, come pure s’è sostenuto, che il differimento della scoperta ufficiale derivasse da esigenze di intelligence per favorire l’alleato maggiore.
    Gli Stati Uniti erano già in possesso di esemplari di quella macchina che forse poteva interessare solo qualche alleato minore.
    Certo un interesse di carattere tecnico – come in tal senso hanno mostrato – poteva esserci negli americani, per accertare se vi fossero o meno delle innovazioni in quell’esemplare.
    Essi infatti ritirano soltanto i liquidi e qualche parte da comparare con quanto già posseggono.
    Al più ci danno spiegazioni per smontare e disinnescare.
    Certo vi era pure un interesse a comprendere nella improbabile ipotesi, sempre da tenere in conto però, che non fossero a conoscenza dell’occasione che aveva dato luogo a quella caduta, che ha tutti
    i caratteri, lo si ribadisce di un abbattimento – come potesse essere avvenuta quella penetrazione e nella più probabile ipotesi che ne fossero a conoscenza, a comprendere precedenti e conseguenze del fatto.
    Esigenze di intelligence, sulle quali quand’anche fossero esistite nei termini che alcuni vorrebbero, non sarebbero mai state decise dal solo livello di una forza armata.
    Ben altro deve essere il livello che decide di dare parti del velivolo per esigenze di quella natura a Servizi di alcuni Paesi, e negarle ad altri.
    Giacchè con quei comportamenti, forse non lo si è compreso a pieno, si instaurerebbero e si manterrebbero – ma forse è proprio così – circuiti diretti tra Servizi, senza alcuna informazione dei responsabili politici.
    E che altri fossero i livelli lo si intuisce dalle parole del Ministro Lagorio il quale in termini di intelligenza e lealtà politica – giacchè se avesse affermato il contrario, avrebbe reso torto sia al suo ruolo che alle capacità e alle aspettative di chi persegue e s’attende la verità – ammette che il caso fu chiuso per ragioni politiche.
    Non si capisce però perchè non emerga che esso nacque anche per cause politiche e, cosa più importante, che fu gestito secondo direttive politiche, perchè di certo su scelte e decisioni che implicavano un altro Paese e in particolare la Libia appare assurdo un mancato coinvolgimento del livello politico.
    Castelsilano è come Ustica. I militari negano addirittura l’essenza dei fatti; asseriscono di conseguenza – non potrebbero altrimenti – di non aver riferito, perchè non v’era nulla da riferire ai politici.
    I politici affermano – e non potrebbero altrimenti, se le cose così stanno – di non aver saputo nulla.
    Questa è la situazione probatoria e sulla base di essa si deve giudicare.
    E così apparendo la realtà,non ne può discendere, così come ne è disceso, che l’accusa contestata.
    Ma se la realtà fosse diversa, non si potrebbe che ribadire quanto concluso in altra parte e cioè che un senso di fedeltà ancor più che malinteso a principi estranei all’ordinamento e un conseguente spirito di supposto sacrificio in pro di coloro che così si sono salvati dall’accusa di aver saputo ed avallato,avrebbero indotto gli imputati ad altrettanto gravi condotte.
    Sul fatto, di fronte a una tale massa di prove, molte delle quali oggettive – le poche restanti di origine soggettiva provengono da persone dell’ ambienti e luoghi, senza alcun contatto tra di loro, e pienamente concordi – si supera ogni ragionevole dubbio e si giunge alla certezza che esso non si è verificato il giorno che s’è voluto accreditare – con una messinscena quasi perfetta – è accaduto molto tempo prima, e per più versi si può anche presumere che sia capitato in quelle medesime circostanze in cui precipitò il DC9 Itavia.
    Non solo: è caduto in conseguenza di abbattimento e probabilmente anche per mancanza di carburante, perchè inseguito da altri velivoli da caccia, e quindi per effetto di un vero e proprio duello aereo, un episodio di natura bellica, avvenuto sul nostro territorio, ad opera di velivoli stranieri – non è assolutamente sostenibile, e non v’è alcuna prova in tal senso, che vi sia stato un intervento italiano – e quindi senza, o almeno così appare, che la nostra Difesa s’avvedesse di alcunchè.
    Una volta escluso che il differimento della data di caduta sia stato determinato da esigenze di intelligence, nostra o di alleati, se ne deve desumere che altra fosse la ragione di questa scelta.
    Quello che più impressiona in questa vicenda, lo si è detto in altro capitolo, è l’interesse di tutte le parti – salve le dichiarazioni di accusa contro Stati Uniti da parte del leader della Jamahirija, cui però non consegue la rivelazione dei fatti e delle loro prove- a tacere.
    E tale interesse fortissimo e mai intaccato, deve essere pari alla gravità dei fatti nascosti.
    Di modo che da esso ben può dedursi conforto alle ipotesi che sul piano tecnico prevalgono.
    L’“aggressore” non rivendica l’azione.
    E anche qui coloro, le aeronautiche, che potevano porla in essere sono poco più di una.
    E un’azione di tal genere, se non avesse contesti innominabili, non vi sarebbe pudore a rivelarla.
    Giacchè si verserebbe in quell’ambito che sempre più si estende delle operazioni di polizia internazionale, di interventi a fini umanitari o meno,di progetti di tirannicidî, di cui si fan carico le superpotenze, che in tal modo non ricorrono più alla tradizionale guerra solenne.
    I rapporti tra gli Stati si modificano con rapidità, e il diritto internazionale non riesce ad adeguarsi con sollecitudine.
    Lo stesso è a dire della “vittima” che sul piano ufficiale concorda sulla data che è nata dalla coincidenza di interessi e sulla spiegazione dei fatti che essa stessa contribuisce ad erigere.
    Sul piano politico il suo leader di tanto in tanto rammenta un’altra verità e non la prova, se ne serve, senza dubbio, per lanciare messaggi ad amici, nemici e manutengoli.
    Noi per parte nostra, abbiamo aderito alla tesi ufficiale, ammettiamo che si tratta di una scelta politica, ma non tiriamo fuori dalla memoria – perchè dagli archivi già tante circostanze sono emerse – nemmeno mezza verità.
    Mentre con ogni probabilità di quell’aereo conosciamo vita, morte e miracoli.
    Chè se poi l’innominabile fosse l’esser stato quel velivolo nel contesto della sera di quel 27 giugno 80, si spiegherebbero allora i silenzi dell’inseguitore, le grida dell’inseguito, le congetture di chi sa, e sapeva, e ha dato, mezzano per vocazione o necessità, un colpo alla botte e l’altro al cerchio.”

    —– ° ——

    Mi scuso per la lunghezza del Post, ma queste sono conclusioni così lucide (ed attuali) che valgono per tutta la Tragedia di Ustica.

    Saluti

    Fox2 (Noi Ricordiamo)
    cerchio.”

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