Ustica, l’occasione persa dal film di Martinelli / Il Sussidiario

di | 8 Aprile 2016

Renzo MartinelliÈ difficile ricostruire la storia per immagini cinematografiche. Ma diventa ancora più difficile fotografare una tragedia in base a indizi elencati come “reperti ritrovati” e a disposizione di inquirenti e di storici. Nascono in questo modo incongruenze, imprecisioni, luoghi comuni che alla fine diventano dannosi e quasi supponenti. Certamente non utili alla verità.
Il film Ustica di Renzo Martinelli, tecnicamente un buon regista che si è già addentrato in alcuni misteri italiani del passato, non chiarisce affatto quello che avvenne il 27 giugno 1980 sulla caduta del DC­9 dell’Itavia partito da Bologna e diretto all’aeroporto di Palermo. Quella data rimane purtroppo il ricordo tragico di un avvenimento mai del tutto chiarito. Nel disastro, avvenuto a pochi minuti dall’atterraggio all’aeroporto di Palermo, morirono 81 persone.
Ancora oggi, nonostante inchieste e rivelazioni di ogni tipo, non si è raggiunta una versione totalmente credibile e si sono accumulate ipotesi verosimili, dove emergono soprattutto palesi carenze di responsabilità, condite con depistaggi di basso livello, da parte di tanti personaggi che dovevano controllare e operare la necessaria vigilanza sui voli civili e militari in Italia.
Quel 1980, tra le altre cose, era un periodo drammatico, una “coda velenosa” della Guerra fredda e in mezzo a un montante terrorismo stragista terrificante. Due mesi dopo la tragedia di Ustica, a Bologna (2 agosto 1980), da dove appunto era partito il DC­9 Itavia, avvenne la strage della stazione: altri 85 morti e 200 feriti. La strage della stazione fu attribuita ai Nar (Nuclei armati rivoluzionari) di estrema destra, ma anche in questo caso dubbi e rivelazioni, continue e successive, si susseguirono per anni, in modo da seppellire il tutto sotto un’altra coltre di mistero.
Ci fu anche chi mise in relazione i due fatti, Ustica e la la strage alla stazione, con un libro che svelava le colpe del dittatore libico Gheddafi e i consueti interessi petroliferi, oltre naturalmente al clima avvelenato della Guerra fredda. Il libro aveva per titolo “La minaccia e la vendetta”: l’autore era niente meno che il sottosegretario alla Difesa dell’epoca, Giuseppe Zamberletti.
Ritornando comunque a Ustica e al film di Martinelli, occorre ricordare che le ipotesi formulate dopo il disastro furono prevalentemente tre: un cedimento strutturale del velivolo; una bomba collocata a bordo, in una toilette; un missile lanciato contro un aereo libico che alla fine colpisce o disturba violentemente il volo del DC­9. Nel film di Martinelli si sposa un’altra ipotesi, quella della battaglia tra aerei americani e un Mig libico che era decollato da Banja Luka in Jugoslavia e che voleva rientrare in Libia, nascondendo il suo tracciato ai radar, come avrebbe già fatto in altre occasioni. Il Mig viene invece intercettato, identificato, inseguito e alla fine abbattuto sulla Sila in Calabria. Ma prima del termine di questa battaglia in cielo, uno degli aerei americani, compiendo un’operazione di disimpegno, urta il DC­9 e lo spezza in volo, lo disintegra, facendolo precipitare.
Da un punto di vista scenografico, non c’è dubbio che le scene di questa battaglia aerea sono di forte impatto drammatico, girate con grande abilità. Così com’è di grande impatto emotivo la storia di quella bambina, che nel film viene ribattezzata come Benedetta, ma che in realtà era la piccola Giuliana Superchi, colei che divenne in fondo il simbolo della tragedia di Ustica. Tuttavia nella trama dei personaggi del film ci sono forzature che non convincono. Chissà perché la piccola vittima diventa la figlia di una giornalista di inchiesta e di un padre mafioso che si stanno separando. È un racconto che appare stonato rispetto alla tragedia dell’aereo e della verità che non si riesce aggiungere nel corso ormai di oltre 36 anni. Così come il comportamento di alcuni uomini politici appare forzato, sopra le righe anche nella recitazione.
Se si vuole fare un paragone, proprio nella ricostrzuione del dramma di Ustica, si può dire che il film di Marco Risi, ad esempio, Il muro di gomma uscito nel 1991, metteva in risalto le reticenze assurde, le continue imprecisioni, il pressapochismo irritante di tutti gli organi dello Stato, sia militari sia civili, che, per una paura ossequiosa di uno status quo o di autorità anche straniere, sembravano voler schivare la verità, anche solo imboccare la strada di una verità. Lo stesso film di Risi poteva supporre una ricostruzione discutibile, ma poneva domande legittime, non ipotesi che anche recentemente non hanno una spiegazione tecnico­-scientifica.
Ancora nel 2014, secondo lo studio e la ricostruzione di alcuni ingegneri aerospaziali dell’Università di Napoli, si è giunti alla conclusione che il DC­9 dell’Itavia non si era affatto spezzato in volo, ma aveva toccato il mare con la fusoliera intera anche se colpita in più parti. Alcuni materiali che il regista di Ustica sostiene che sono stati ritrovati, come testimonianza di una battaglia aerea tra americani e Mig libico, non sono stati repertati (come si dice) dalla sentenza­ordinanza del giudice Rosario Priore.
Mancano poi, come in una filiera infinita e mai risolta, i dubbi sulla presenza dei francesi in varie fasi (una delle piste più inseguite), probabilmente anche le responsabilità di Gheddafi e la lentezza che ci fu nel recupero e nella ricostruzione del DC­9 dell’Itavia.
Alla fine, del film di Renzo Martinelli ti resta l’amaro in bocca di un’occasione mancata e di un impegno,
probabilmente sincero, per una ricostruzione storica che però aggiunge confusione e non dà affatto l’impressione di afferrare la verità di quella tragedia. (Gianluigi Da Rold / Il Sussidiario)