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«Ustica, la mia carriera in salita dopo l’inchiesta»

«Rifiuto questa interpretazione nel modo più categorico, mi sto anche alterando». Lo stop di Carlo Luzzatti, già presidente della Commissione ministeriale d’inchiesta sulla strage di Ustica, arriva dopo circa 12 minuti di intervista e prelude a un brusco congedo. «Mi sto alterando», ripete, «tra l’ altro per questa inchiesta ho avuto anche problemi di carriera, che fortunatamente ho superato grazie alla mia professionalità». Non è impossibile credergli. Si deve anche alla Commissione da lui presieduta se l’ipotesi del cedimento strutturale del Dc 9 precipitato il 27 giugno dell’80, sponsorizzata tra gli altri dall’Aeronautica militare, fu rapidamente rottamata. Ed è proprio nei documenti della Commissione Luzzatti, istituita da Rino Formica, allora ministro dei Trasporti, che si cominciò a parlare della possibilità che ad abbattere l’aereo fosse stato un missile, come già suggerito dal National Transportation Safety Board, l’ente che vigila sulla sicurezza dei voli negli Stati Uniti, e successivamente confermato nell’ordinanza firmata nel ’92 dal giudice istruttore Rosario Priore. Oggi sappiamo che intorno al Dc 9 di Ustica volavano 21 jet di nazionalità sconosciuta e che l’abbattimento avvenne all’interno di uno scenario di guerra aerea. Dopo 32 anni, non sappiamo ancora chi abbia premuto il grilletto.
Che la vita non fosse semplice per chi allora si occupava di queste cose è testimoniato anche da un documento senza data e firma emerso dall’archivio Craxi, di cui l’Unità ha conto poche settimane fa nel 32° anniversario della strage di Ustica. Si tratta di una lettera dello stesso Luzzatti indirizzata al ministro dei Trasporti in carica, con ogni probabilità il socialista Vincenzo Balzamo, in cui testualmente si afferma che «l’indirizzo delle indagini, ivi compresa la scelta della scala di priorità, per il privilegio delle ipotesi di lavoro, debba scaturire da una valutazione che tenga conto delle ripercussioni…su interessi superiori del Paese». È di questo documento che Luzzatti, oggi presidente della Sogeaal, la società che gestisce l’aeroporto di Alghero, ha accettato di parlare dopo il silenzio religiosamente osservato nel corso di trent’anni. Ed è proprio dopo una domanda su quella richiesta di chiarimenti che la conversazione si è interrotta. Luzzatti, che nel corso della sua carriera ha anche ristrutturato i sistemi di sicurezza di Fiumicino dopo l’attacco alle Torri Gemelle, ha però risposto quando gli è stato chiesto di raccontare come il ministro avesse replicato alla sua lettera. «Entrambi i ministri (Formica e Balzamo ndr) ci dissero di lavorare sereni e tranquilli perché l’interesse primario era accertare cosa fosse successo». Presidente, se abbiamo frainteso ce lo dica lei, ma è strano che una Commissione d’inchiesta che ha il compito di accertare la verità chieda all’autorità politica quale debba essere? «Non ci siamo, assolutissimamente». Non è così? Ci dica lei quale senso attribuire a quella frase, non vogliamo mettercene uno noi. «Ve l’ho detto, a questo punto vi saluto. Statemi bene».
La Commissione Luzzatti concluse i suoi lavori nell’82 aggiungendo all’ipotesi del missile quella della bomba a bordo, mai confermata dalle indagini successive, ma sicuramente più facile da gestire sul piano internazionale. Per capire quale consistenza la pista avesse all’epoca, tornano utili le parole di Aldo Davanzali, presidente di Itavia, la compagnia a cui apparteneva il Dc9 di Ustica, affondata dalla strage e dall’ipotesi del cedimento strutturale del velivolo. Fu proprio Davanzali, morto nel 2005, a sostenere che il gruppo coordinato da Luzzatti era giunto ad affermare con certezza che l’aereo era stato abbattuto da un missile, e che la parola «probabile» assegnata all’ipotesi faceva sicuramente parte di una terminologia barocca tipica delle Commissioni d’inchiesta. In altre parole, non c’era stata nessuna bomba a bordo, come peraltro si ricavava dai tracciati radar dei frammenti del Dc9, improvvisamente proiettati a 90 gradi rispetto alla traiettoria iniziale del velivolo: la direzione era la stessa del velivolo intercettatore; dalla presenza di fosforo ritrovata in una scheggia e dal fatto che questa provenisse dal carrello dell’aereo, traiettoria impossibile se ad esplodere fosse stata una bomba piazzata, come sostenuto da alcuni, nella toilette dell’aereo; infine dalla decompressione improvvisa che aveva ucciso pressoché istantaneamente equipaggio e passeggeri. Elementi che Davanzali aveva tratto dalle conclusioni di John Macidull, presidente del Ntsb americano che, forte della sua esperienza in materia di guerra aerea, già nel dicembre 80 aveva assegnato all’ipotesi “missile”, il 99% delle probabilità, cioè la quasi certezza. Davanzali era di sicuro parte in causa, ma come presidente di Itavia avrebbe potuto accogliere con serenità qualsiasi spiegazione contraddicesse quella di una possibile falla nella sicurezza dei suoi velivoli, ma cassò con decisione quella dell’ordigno a bordo.
Anche nella lettera di Luzzatti al ministro, la possibilità del duello aereo nei cieli di Ustica, cominciava a emergere con molta nettezza. Parlava di un evento «istantaneo e catastrofico» e sottolineava la presenza di fosforo «su un elemento di struttura situato nel vano di un carrello», come «già accertato dalla Commissione presso i laboratori Ntsb Usa». La conclusione era per l’epoca dirompente: «È lecito attendersi a questo punto delle indagini che la Commissione nella sua collegialità si esprimerà nel senso di escludere l’ipotesi del cedimento strutturale spontaneo». Quali erano le ipotesi che all’epoca avrebbero potuto danneggiare quelli che lei ha definito «interessi superiori del Paese»? «Credo che ci sia stato da parte mia un eccesso di prudenza – risponde Luzzatti – Comunque i ministri non ci influenzarono in alcun modo, su questo voglio essere assolutamente chiaro». Lei scrisse di ritenere doveroso rappresentare al ministro quella preoccupazione: come mai? «Ero un dirigente della Pubblica Amministrazione e dovevo dire al ministro come stavano le cose. Non ero stato incaricato da un privato ma da un ministro e presiedevo un commissione tecnico formale». Commissione che aveva escluso l’incidente, e privilegiato quella della strage, non si sa se provocata da missile o bomba. E che chiedeva al ministro come regolarsi in relazione a «superiori interessi del Paese».

di Gigi Marcucci e Cora Ranci per l’Unità, 15 luglio 2012

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