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Segreto di Stato, in 4 anni negato qualunque accesso

È arrivato il periodo degli anniversari delle stragi. Il 27 giugno è stato il trentunesimo di quella di Ustica. Il 2 agosto lo sarà di quella della stazione di Bologna. E il 4 agosto di quella dell’Italicus. Avvenuta ben 37 anni fa. Ma negli stessi giorni, e per la precisione il 1° agosto, cadrà un altro anniversario, che probabilmente nessuno commemorerà. Quello del giorno in cui la Commissione Affari Costituzionali del Senato ha approvato in via definitiva e con consenso unanime il disegno di legge che avrebbe dovuto gettare luce sui molti misteri di quelle stragi. Sono passati quattro anni da quando quel disegno è stato convertito in una legge – la 124 – che oltre a riformare il sistema degli apparati di sicurezza dello Stato introducendo Aisi, Aise e Dis, avrebbe dovuto rivoluzionare la disciplina che governa il segreto di Stato. Sul tema specifico, l’articolo 39 stabilisce infatti che «in nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato notizie o documenti relativi a fatti di terrorismo o eversivi dell’ordine costituzionale» e impone un tetto massimo al segreto di Stato di 30 anni (15 + 15 per l’esattezza). «La trasparenza delle attività dello Stato è uno dei cardini della democrazia. E nell’agosto 2007 il legislatore ha espresso un parere politico lampante», spiega Emanuele Fiano, deputato del Pd ed ex membro del Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica, o Copasir, che fu tra i principali artefici e sostenitori della 124. Più specificatamente, secondo Fiano, «l’intenzione era quella di fare luce su vicende di terrorismo sulle quali si riteneva fosse stato apposto il segreto di Stato». Insomma le stragi. Avendo oltre 25 anni di esperienza con l’equivalente legislazione che negli Usa governa da 4 decenni l’accesso agli atti del governo federale (il cosiddetto Foia), l’inviato de Il Sole-24 Ore è stato uno dei giornalisti appellatisi alla nuova legge. L’esperienza americana ci aveva ben preparati. Sapevamo che occorreva armarsi di pazienza e determinazione. Ma negli Usa i risultati erano venuti. Sotto forma di migliaia e migliaia di fotocopie di rapporti classificati, messaggi diplomatici e documenti interni di ogni agenzia federale – dalla Cia al Pentagono. In Italia non è stato così. E la settimana scorsa un pronunciamento del Tar del Lazio ha dimostrato che a 4 anni dalla sua promulgazione, la legge 124 rimane ancora inapplicata (o peggio, nei fatti inapplicabile). Allora, nei giorni in cui sulle nostre stragi (Ustica) si chiedono risposte a governanti stranieri (il presidente francese Nicolas Sarkozy) e organismi multinazionali (Nato), non sarebbe bene cominciare a pretendere l’effettiva applicazione di una legge sulla trasparenza di casa nostra? L’inviato de Il Sole-24 Ore ha trascorso gli ultimi 3 anni facendo richieste e avendo incontri con la controparte negli apparati dello Stato per definire insieme l’istruttoria dell’istanza di accesso agli atti, riscontrando tanta professionalità quanta disponibilità ad applicare la legge. Ma tant’è. Dopo anni di incontri, lettere, email e telefonate delle 13 diverse richieste presentate (dalla strage di Ustica al ruolo di Ordine Nuovo) non una è stata accolta favorevolmente dal Dipartimento informazioni per la sicurezza, o Dis. E il ricorso presentato dall’avvocato costituzionalista Vittorio Angiolini, professore ordinario di diritto costituzionale all’Università di Milano, è stato respinto dal Tar del Lazio [leggi la sentenza]. Con una motivazione kafkiana: la richiesta di accesso a documenti classificati è stata ritenuta troppo vaga e «meramente esplorativa». In pratica, è come se il Tar avesse determinato che per chiedere un documento segreto (e in quanto tale sconosciuto al richiedente) occorre fornirne data e numero di protocollo perché altrimenti si costringerebbe «l’amministrazione a una complessa attività di elaborazione, ricostruzione e incrocio di una rilevante mole di informazioni, al fine di estrapolare da un corpo di documenti quelli, solo presumibilmente, corrispondenti all’interesse dell’istante». «In pratica, l’accesso viene rinviato al momento in cui, a discrezione dell’autorità e senza controlli, si decida di mandare gli atti non più segreti all’archivio di stato», osserva Angiolini. Formalmente il Tribunale regionale non ha negato il principio di trasparenza introdotto dalla 124. Anzi, ha rigettato il concetto di «permanente inaccessibilità dei documenti degli Organismi informativi». Ma ha spiegato che «tali documenti… sono destinati al versamento presso l’Archivio Centrale dello Stato e in tale sede saranno resi disponibili per le esigenze degli studiosi e degli storici». In altre parole, non siamo stati bocciati. Solo rimandati. Alle calende greche.

di Claudio Gatti – Il Sole 24 Ore del 12 luglio 2011 [link originale]

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