La versione ufficiale della Nato e dell’aeronautica italiana è trincerata da 45 anni in una tripla negazione: il 27 giugno 1980 e nei giorni precedenti non ci sarebbe stata nessuna esercitazione aeronavale; nell’ora del disastro di Ustica non avrebbe volato nessun caccia in assetto da combattimento; dunque nessuna battaglia aerea può aver coinvolto il DC-9 precipitato in mare con 81 vittime. Ora questo alibi, già smentito da tutte le sentenze civili, viene demolito da decine di testimoni anche oculari, sentiti dai magistrati di Roma nelle ultime indagini penali, chiuse con una richiesta di archiviazione di 435 pagine. È l’atto finale di un’inchiesta durata sedici anni, che non è riuscita a smascherare (per abbondanza di depistaggi) il pilota dell’aereo militare che ha causato la strage, ma comprova che in quei giorni diversi caccia «americani e francesi» parteciparono a «operazioni di guerra in tempo di pace», fino alla sera fatale. Il 26 giugno del 1980, alla vigilia del disastro, Egidio A., già pilota militare e poi civile, era ai comandi di un aereo passeggeri decollato da Palermo. «Sopra Ustica ho visto un convoglio di cinque o sei navi militari, tra cui una grande che poteva essere una portaerei», è la sua testimonianza. La stessa sera, la hostess Marina G. della compagnia Itavia era sul DC-9 partito da Bologna: prima di Palermo, ricorda, «il secondo ufficiale mi ha chiamato per mostrarmi una portaerei, probabilmente americana, con tante navi attorno». L’ingegnere Giorgio M. all’epoca era un militare imbarcato sull’incrociatore Vittorio Veneto. «Nella seconda metà di giugno 1980 ho partecipato a un’esercitazione tra le isole Eolie e Ustica. C’erano tante navi: americane, francesi e italiane. C’erano anche una portaerei francese e sicuramente l’americana Saratoga. Era una esercitazione Nato. La Vittorio Veneto ha sparato anche missili contro aerobersagli, come tutte le altre navi. Si sparava anche di sera. Abbiamo saputo del DC-9 solo ai primi di luglio, quando siamo arrivati a La Spezia». L’ingegnere ha scattato molte foto, che ha consegnato alla Procura: sedici immagini riguardano l’esercitazione di Ustica e in due si vedono «caccia in volo». Un testimone chiave collega quelle prove di guerra alla strage. Giovanbattista S. nel 1980 era un militare italiano in forza al comando Shape della Nato, vicino a Bruxelles, nel centro operativo chiamato Shoc. «La sera del 27 giugno era in corso un’esercitazione combinata della Nato con aerei americani e francesi, con base a Napoli: c’era anche scritto nei tabelloni. Nei giorni precedenti e anche la sera del 27, nel golfo della Sirte, c’erano state battaglie tra caccia americani e Mig libici. Il DC-9 è rimasto coinvolto in una battaglia tra aerei americani e libici». Lui lo seppe già quella sera. «Io ho preso servizio dopo l’incidente, ero nel turno successivo. Il centro di Napoli aveva trasmesso con un codice Nato la traccia di uno degli aerei dell’esercitazione, che era coinvolto nella caduta del DC-9». Qualche tempo dopo, aggiunge il teste, «ne parlai con i miei colleghi in servizio a Marsala, che mi dissero: ma allora sai tutto». Grazie a un giornalista d’inchiesta, Luciano Lannes, la Procura di Roma ha potuto rintracciare altri militari dell’aeronautica e controllori di volo che confermano la battaglia aerea. Giuseppe D. era in servizio in Puglia: «La sera del 27 giugno ero in sala operativa quando scattò l’allarme Delta, il più grave, per l’abbattimento di un aereo. La mattina successiva il generale M. mi chiamò dicendo: dimentica quello che hai visto e sentito». Un altro maresciallo, Pasquale M., testimonia che quel giorno vide «due Mig libici entrare dalla Jugoslavia nello spazio aereo italiano». Poi, dopo il ritrovamento in luglio del famoso Mig abbattuto sulla Sila, gli venne detto che «si era messo sotto il DC-9 ed era stato intercettato da un Awacs americano e dai nostri F104 che avevano solo lanciato l’allarme». Il militare fa anche il nome di un collega che «registrò le tracce di aerei militari partiti dalla Corsica e dalla Sardegna». I vecchi processi penali si erano chiusi con proscioglimenti generali che, in appello, erano arrivati a mettere in dubbio la presenza dei caccia, screditando la storica istruttoria del giudice Rosario Priore. A partire dal 2011, tutte le sentenze civili hanno invece confermato che il DC-9 fu abbattuto durante un’azione di guerra, così descritta nel verdetto più completo, firmato dal giudice Proto Pisani: il disastro si è verificato «a causa dell’operazione di intercettamento, realizzata da due caccia, di un altro velivolo militare nascostosi nella scia del DC-9 al fine di non essere rilevato dai radar». Come sia stato abbattuto, le sentenze civili non avevano modo di stabilirlo, lasciando aperta l’alternativa tra «l’esplosione di un missile» o la «quasi collisione» con un caccia passato troppo vicino. Anche le ultime indagini penali demoliscono le vecchie teorie del cedimento strutturale o della bomba terroristica. Nella richiesta conclusiva di archiviazione, che risale al gennaio 2024 ma è rimasta riservata fino al maggio scorso, il pubblico ministero Erminio. Amelio conclude che «la quasi collisione è la tesi oggettivamente meglio riscontrata», dedicando un capitolo finale alle nuove scoperte di tre esperti, che hanno trovato cinque tracce materiali di «impatto» con un altro aereo. Lo scenario della collisione, sfiorata o realizzata, coincide con la ricostruzione pubblicata da L’Espresso già nell’aprile scorso. Un aereo libico proveniente dalla Jugoslavia incrocia il DC-9 in Toscana e gli si nasconde sotto, per sfuggire ai radar. L’intruso viene scoperto dal potente aereospia americano Awacs e poi identificato da due F-104 italiani, che danno l’allarme e poi atterrano. A quel punto altri due caccia, verosimilmente statunitensi, si lanciano all’inseguimento dell’aereo nemico. Tra Ponza e Ustica, nella zona d’ombra al limite della portata dei radar civili, virano a 90 gradi e attaccano l’intruso, incrociando così l’aereo dell’Itavia, che precipita. Questi sono i fatti considerati certi da tutte le sentenze civili e dalle ultime indagini penali. Ma come e da chi è stato abbattuto il DC-9? Alcuni periti ipotizzavano un missile: una tesi che il pm considera possibile, ma non probabile, per mancanza di evidenze di un’esplosione esterna. La prima alternativa è quindi la «quasi collisione»: significa che uno dei tre caccia è passato «a meno di cinque metri dal DC-9», creando «un vortice, un’interferenza che ha lesionato l’ala sinistra», come hanno spiegato i professori Carlo Casarosa e Manfred Held: «È un incidente tipico in fase di decollo». Nel maggio 2023 un altro perito autorevole, Donato Firrao, ha trasmesso alla Procura una relazione degli ingegneri aeronautici Ramon Cipressi e Marco De Montis, che sviluppa e perfeziona la tesi dei due aerei che s’incrociano: ci fu una collisione, lo provano le deformazioni scoperte sulla punta dell’ala destra e in altre quattro parti del DC-9, danneggiate dall’impatto con uno dei tre caccia. Probabilmente quello che ha perso un serbatoio esterno, ritrovato in fondo al mare tra i resti dell’aereo passeggeri. Il pm conferma che apparteneva a un caccia statunitense e meriterebbe una nuova perizia. Ma è impossibile: il serbatoio è sparito, come altre prove, anche se era sotto sequestro giudiziario. Questa indagine su Ustica era nata da un’intervista televisiva di Francesco Cossiga: l’ex presidente, nel 2008, affermò che il DC-9 sarebbe stato abbattuto da un missile francese, come gli avrebbe rivelato l’ammiraglio Fulvio Martini, ex capo del Sismi, dopo averne parlato con l’ex premier Giuliano Amato. Il racconto di Cossiga però è smentito da tutti. Interrogato dai magistrati, Amato giura che Martini non gli parlò mai di un missile, anzi «era un sostenitore della tesi della bomba». L’ammiraglio, a sua volta, conferma che il suo servizio segreto «ha sempre caldeggiato l’esplosione interna». Il caso ribadisce solo la vocazione del Sismi a negare il vero e affermare il falso sulle stragi. Lo stesso Amato, in un’intervista a Repubblica nel 2023, ha poi ipotizzato «un missile francese» con «complicità americane». Poi però ha dichiarato, come nota il magistrato, di non avere prove contro nessuno: il suo era solo un appello alla verità. Che ha un senso: le autorità di Parigi non hanno mai ammesso la presenza di una loro portaerei con due caccia in volo. L’atto finale dell’inchiesta evidenzia anche l’ultimo scoop di Andrea Purgatori, che nel 2017 intervistò due piloti americani della Saratoga: gli dissero che quella sera avevano visto «decollare in emergenza due caccia, poi rientrati senza missili», perché avevano «abbattuto due Mig libici».